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domenica 31 luglio 2022

Argonauti - ODV Missione Ecomuseo compiuta

 Dopo 10 anni dalla fondazione, completato il progetto dell'Ecomuseo di Cori, l'associazione Argonauti ODV è stata sciolta. 

Ringraziamo ogni persona volontaria e chiunque abbia sostenuto l'associazione. 

In particolare, dedichiamo l'area del progetto Ecomuseo alla persona di Claudio Conti, recentemente scomparso, la cui memoria vivrà in noi e negli alberi che lui stesso ha fatto nascere e crescere, creando una delle aree più ricche di biodiversità dell'intera provincia, forse seconda solo al Giardino di Ninfa. 

                                                                                                                                     A. T.    31/07/2022

martedì 4 agosto 2020

Dal sito: https://eu.usatoday.com/story/news/2015/09/02/earth-three-trillion-trees/71578324/

Wood you believe it? Earth has 3 trillion trees!
Traci Watson Special to USA TODAY
Published 9:29 PM EDT Sep 2, 2015

The golden leaves of aspen trees changing color with the arrival of fall stand out against a pine forest on a mountainside near Buena Vista, Colo. on Sept. 7, 2014. A new report says climate change will reduce the areas where both aspens and pines can grow over the next 45 years.
Trevor Hughes/USA TODAY


Three trillion. That's the staggering number of trees on Earth, according to a new tally that astounds even the scientists who compiled it.

Three trillion is three followed by 12 zeroes, which is more than the number of stars in the Milky Way and more than the number of cells in a human brain. If the new sum is accurate – and other scientists think it is – the planet boasts roughly 420 trees for every living person. An earlier count pegged the global tree total at a mere 400 billion, but that study relied on less sophisticated methods.

The gold medal for tree numbers goes to Russia, with 642 billion. The United States is fourth with 228 billion, behind only Russia, Canada and Brazil, although the United States lags behind many more countries in tree density. The figures are published in this week's Nature.


There are more trees on Earth than stars in the Milky Way. In this photo, the Milky Way shines through Owachomo Bridge at Natural Bridges National Monument, one of the darkest places in the lower 48 states, in this long exposure photograph.
Trevor Hughes/USA TODAY
The total is "astonishing," study co-author Thomas Crowther, who did the research as a postdoctoral student at Yale University, told reporters. When Crowther asked forestry experts to predict the total, they made wildly incorrect guesses, he said in a separate interview. "No one could comprehend the scale of the things we were seeing."

In a more sobering find, Crowther and his team calculated that roughly 15.3 billion trees are cut down each year, and humanity has reduced the Earth's tree population by nearly half since civilization began. Around the world, one of the biggest influences on the number of trees is the corps of humans wielding chainsaws and axes.

The scientists didn't have to count the world's trees one by one. But they still needed two years, data amassed by thousands of tree huggers and a good chunk of supercomputer time to add up all those oaks and palms and pines. The team combined actual tree counts made in wooded areas, around the world, with satellite pictures. By counting actual trees and comparing them to satellite pictures, they learned how to predict the number of trees in places where satellite views were the only source of information. The result is the first full-coverage map of the entire planet's tree density and one of the very few estimates that sees the trees and not just the forest.

Other scientists cheered the new statistics. The three-trillion estimate is "reasonable" and based on good science, Richard Lucas, a professor of remote sensing and biogeography at Australia's University of New South Wales who was not involved with the study, said via email. The data will lead to a better understanding of global diversity, he said.

The new information also speaks for the trees, which may seem endless but in fact are rapidly disappearing.

The results provide "another way of saying we are really, really, really having an incredible impact on our natural ecosystems," said tropical forest ecologist Hans ter Steege of the Naturalis Biodiversity Center, a Dutch museum and research institute. The study shows "we've actually taken away almost half of the trees already. … That for me was pretty alarming."

Published 9:29 PM EDT Sep 2, 2015
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martedì 10 aprile 2018

Da Il Fatto Quotidiano del 10/04/2018:

Il convegno Biomasse ad uso energetico: aspetti ambientali, forestali, giuridici economici, sanitari – svoltosi a Rieti il 6 aprile – ha riscosso un indiscutibile successo con la partecipazione di oltre 300 persone, l’adesione di 107 associazioni e di centinaia di accademici ed esperti delle più svariate discipline.
Il convegno è stato il perfetto epilogo dell’impegno posto in questi mesi per contrastare il Testo unico forestale (Tuf), purtroppo di recente licenziato dal Quirinale. Si è trattata di un’intensa giornata di studio con 22 relazioni che si è conclusa con l’annuncio della nascita di un Osservatorio indipendente sulle biomasse. 
È risultato evidente l’assunto totalmente errato del Tuf di non considerare boschi foreste come ecosistemi complessi e autonomi che svolgono importantissimi “servizi ecosistemici” (purificazione di acqua e aria, tenuta dell’assetto idrogeologico, tutela della biodiversità, mitigazione del clima, benessere per la salute umana), ma solo per la loro “valorizzazione energetica”, ovvero per la filiera del legno o come cippato e pellet per impianti a biomasse.

Questa miope visione è in modo ipocrita mascherata sotto il falso mito che il bosco avrebbe bisogno dell’uomo e che il Tuf permetterebbe il recupero del paesaggio, ma proprio Italia Nostra – da sempre attenta al patrimonio storico e culturale – è schierata contro il Tuf perché il paesaggio è una cosa dinamica e non si può certo pensare di riportare agricoltura o pastoriziacom’erano un tempo. Ed è l’uomo ad avere bisogno del bosco e non viceversa.
Davanti all’urgenza di contrastare i cambiamenti climatici gli alberi andrebbero piantati e non certo divelti, dimenticando che essi non si limitano – tramite la fotosintesi – a fissare il carbonio nella loro struttura fisica, vivente, ma sequestrano anidride carbonica anche attraverso la respirazione dei loro apparati radicali. Le radici nel sottosuolo, interagendo con acqua e rocce di vario tipo, permettono al carbonio – sotto forma di molecole solubili (ione idrocarbonico, calcio, potassio) – di entrare nel ciclo dell’acquarendendola ideale per le cellule viventi, gli ecosistemi delle acque dolci, dei mari e degli oceani. A questa azione benefica si aggiunge quella altrettanto importante di erosione delle rocce da parte della Co2 esalata dalle radici che trasforma rocce compatte in una sorta di “spugna”, in grado di assorbire e trattenere grandissime quantità di acqua.

Queste funzioni sono tanto più efficaci quanto più i boschi sono allo stato naturale – con alberi adulti o vetusti -, per cui il taglio “a turno” dei boschi italiani avrà inaccettabili riflessi negativi anche da questo punto di vista.
La produzione di energia con cui si giustifica questa operazione è poi a dir poco ridicola, visto che già da anni prestigiose istituzioni scientifiche hanno dimostrato come sarebbe possibile disporre al 100% dell’energia da vere fonti rinnovabili – sole, vento , acqua – evitando non solo combustibili fossili ma anche utilizzo di biomasse. A questo proposito anche di recente è emerso che neppure la combustione dei residui forestali è in pareggio per la Co2 e che l’”inganno biomasse” riguarda anche biocombustibili che pure vanno tanto di moda.
È paradossale che (a livello europeo) da un lato si faccia la Direttiva Habitat e dall’altro si concedano ben 4,7 miliardi di euro per energia da biomasse di cui beneficeranno soprattutto i grossi gruppi di potere che evidentemente “orientano” le decisione dell’Ue. Inquietante il fatto che gli impianti a biomasse calabri siano entrati nella sfera di interesse di un finanziere serbo e che siano emersi legami criminali fra centrali a biomasse e gli incendi boschivi di questa estate. Esemplare in Calabria (regione in cui la produzione di energia elettrica già oggi super del 150% il fabbisogno) il caso della centrale Enel del parco del Pollino in cui gli incentivi pubblici – a fronte di un bilancio annuo di 49 milioni di euro – sono ben 39 milioni!

Sulle conseguenze sulla salute umana della cattiva qualità dell’aria sono già spesso intervenuta; recentemente una ampia revisione di letteratura ha fatto il punto degli studi epidemiologici condotti sia sui lavoratori che sulle popolazioni esposte alle varie tipologie di impianti a biomassa, confermando incremento del rischio di cancropatologie respiratorie acute e croniche, allergie, ma anche di incidenti rilevanti per fuoriuscita di acido solfidrico.
Esattamente il 27 giugno del 1948 sul Corriere della Sera – come ricordato dal professor Franco Pedrotti – fu pubblicata questa frase di Dino Buzzati: “quanto più si estende sulla terra vergine il dominio dell’uomo, tanto più diminuiscono le sue possibilità di salvezza e a un certo punto egli si troverà prigioniero di se stesso, gli verrà meno il respiro e per un angolo di autentico bosco sarà disposto a dare via tutte le sue diaboliche città, ma sarà troppo tardi, delle antiche foreste non rimarrà più una fogliolina”.

Forse, dopo 70 anni, sarebbe il caso di riflettere e prendere sul serio queste profetiche parole.
Patrizia Gentilini
Medico oncologo ed ematologo, membro di Isde e Medicina Democratica

lunedì 9 ottobre 2017

Ecomuseo visto da satellite: l'area interessata è evidenziata in rosso.
Di seguito, uno sguardo ravvicinato ad alcune essenze

                                  Foeniculum vulgare - Finocchio selvatico

 



                                  Bambuseae - Bamboo

                                  Malva sylvestris - Malva selvatica

Malva sylvestris - inflorescenza 

 
Castagno
Ceratonia siliqua - Carrubo

 Eco-museo, essenze e torre colombaia

Eco-museo, vista da NE

Foto di Serena Fantucci

martedì 1 dicembre 2015

Cave lapicidinae, attento alla cava di pietre

Lettera aperta del sindaco di Cori (LT) ai suoi concittadini
“Cari cittadini, la Regione Lazio negli ultimi tempi ha autorizzato nei pressi del nostro territorio (Rocca Massima) e nel territorio di Cori l’apertura di due nuove cave; che, unite a quella già in attività da anni, fanno tre. Senza ascoltare il Comune di Cori, anzi, contrariamente al parere negativo del Comune di Cori. Ciò significa che tra qualche anno potremo trovarci un larghissimo buco aperto tra Cori e Giulianello con grave danno al paesaggio e all'aspetto complessivo del paese. Una larga ferita aperta nel cuore del nostro territorio, che francamente mi offende come sindaco e come cittadino, e che dovrebbe offendere tutti noi.  I sindaci passano, il tempo passa e le ferite restano. E resteranno per i nostri figli e per i nostri nipoti. E la ferita sarà ancora più sanguinante perché non l’abbiamo scelta, non l’abbiamo voluta, ci è stata inferta.
 La Regione Lazio non ci ha consultato e quando ci ha consultato non ha ascoltato il nostro parere. La responsabilità è tutta ed apertamente politica. Di conseguenza è la politica che deve trovare una soluzione a questa vicenda. Sono stati privilegiati gli interessi meschini dei soliti furbi. Proprio in un momento in cui la tutela del territorio, l’attenzione alle tipicità agricole e paesistiche, al patrimonio culturale, stava dando una risposta positiva al futuro del nostro paese, questa mannaia che cade dall'alto ci riporta indietro di anni. Nonostante i vertici globali sul clima e sul paesaggio, nonostante le teorie sulla sostenibilità, nonostante il messaggio ecumenico del Papa, l’unico politico rimasto a parlare al futuro dell’umanità, le strade che si percorrono sono sempre le stesse.
Questo è un appello, rivolto a tutti i cittadini di buona volontà, senza distinzione di appartenenza politica, che spesso non appare avere più senso; è un appello a tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese e anche il futuro complessivo del territorio. A tutti coloro che amano la bellezza. Chiamiamoci, cerchiamoci, dialoghiamo e solidarizziamo. Se restiamo isolati saremo sconfitti. Tommaso Conti, sindaco e cittadino di Cori e Giulianello.”


Più chiaro di così non poteva essere e non possiamo che condividere. Aggiungiamo che c'è ancora un cammino lunghissimo che la nostra civiltà, tra le altre, dovrà fare per passare dalle parole ai fatti. Cos'è una cava? Nello specifico si tratta di fare un buco nel terreno, enorme, modificando il territorio, il paesaggio, già pesantemente gravato dalla presenza di una cava. Abbiamo visto che cosa produce un mostro del genere, in cambio di 9 posti di quello che chiamano "lavoro", ma che andrebbe definito per quello che è, ossia l'ennesimo saccheggio legalizzato perpetrato su un territorio ancora non affrancato dal pensiero ottocentesco di SFRUTTAMENTO delle risorse senza possibilità di rinnovo futuro, senza pensare neanche ai propri figli, ai quali lasciano un territorio devastato e magari l'attività stessa di devastazione. 
Non c'è bisogno di essere estremamente dotati di intelletto, per capire che una montagna dedita alla pastorizia e all'agricoltura rende 10 ma per 10000 anni e per 100000 persone, mentre la stessa montagna sbriciolata e venduta a pezzi rende 100, ma per 10 anni e 10 persone. I numeri sono molto approssimati è chiaro, ma per dirlo in altre parole, se la montagna scompare, lì dov'era rimarrà roccia arida che impiegherà cinquant'anni per rivedere vita. Cosa non è chiaro per vedere che ciò è sbagliato? 
Non è la bellezza del paesaggio a rischio, il nostro paesaggio è già distrutto. A qualcuno sarà capitato di parlare con chi a Cori non c'è mai stato, ma se questi è avvezzo a passare dalla pontina potrete facilmente indicargli Cori come il "paese vicino al buco", facilmente capirà dov'è. Vista da Latina Cori sembra più piccola di quella voragine visibile a decine di chilometri di distanza (e scommetto che almeno il centro storico ci entrerebbe comodo). Cori come tutta Italia inoltre non ha più lo smalto di un tempo. Come in molte parti d'Italia (specie al sud ovvio) il centro storico sta letteralmente crollando, è un ricettacolo di tragedie annunciate da decenni, si aspetta solo il disastro perché non ci sono fondi, o comunque non siamo stati in grado di prenderne una parte dall'Europa che spesso si trova col resto. Certo molto è stato fatto, ma ancora dobbiamo riparare a decenni di palazzinari, per non parlare dei rifiuti...questo mondo è già al termine, possiamo solo rallentare la caduta, lo schianto nel baratro che ci stiamo scavando giorno per giorno, ma l'importante è divertirsi giusto?
Quindi ciò che ci deve interessare è frenare il danno esistente e tuttora in estensione. Il vero danno è quello di tutti i giorni, pezzi di territorio che vengono distrutti PER SEMPRE e irrimediabilmente, ciò che fanno è in vero un danno triplo. Il primo danno è quello diretto, ed è sotto gli occhi di mezza provincia, dai monti al mare si vede quella frana artificiale, quello squarcio vergognoso nel ventre di madre terra.
Tale danno include le strade con asfalto divelto, vengono deformate e dissestate dai camion, enormi e con tonnellate di carico. Quello stesso carico di finissima polvere calcarea è come un manto che si estende tutt'intorno sugli ulivi e la terra che circondano la cava e che corrono lungo le strade percorse da quegli stessi camion.
Il danno collaterale è la connivenza di interessi "economici" con le istituzioni, quando si incontrano mentalità predatorie, fantasie lanzichenecche e in poche parole chi approfitta non è fondamentalmente capace o non è facilitato nel poter scegliere avvedutamente la soluzione migliore per lavorare, che non può essere chiaramente quella in foto. 
Infine c'è il danno presente e futuro, la modifica irreparabile del microclima e dell'assetto idrogeologico, in una penisola come l'Italia significa anticipare di milioni di anni quella che dovrebbe essere l'erosione naturale di prezioso territorio, con la conseguente distruzione degli ecosistemi rimasti e già provati.

Fin quando sopravviverà questa mentalità arcaica di fare affari e non si intraprenderà veramente un cammino di economia e società più avveduta (non serve illuminata), avremo sempre a che fare con predatori e distruttori. Il bene comune è poco apprezzato in Italia, questo perché ne avevamo moltissimo sia naturalistico che culturale, oggi entrambi questi sottoinsiemi di un sommo bene comune sono minacciati di estinzione. Siamo una civiltà fallita e non abbiamo assolutamente nulla da pretendere di voler insegnare ad altre civiltà, non siamo migliori né peggiori, siamo umani e come tante altre razze animali, sebbene alcuni se ne siano resi conto per peculiare coscienza della specie, ci siamo incamminati da tempo verso la nostra auto-estinzione. Ma siamo umani e siamo capaci di entrambi gli estremi, mi piace pensare che per ogni distruttore c'è chi tutela il territorio, per ogni corrotto c'è chi ha la coscienza pulita, per ogni egoista c'è chi guarda alla vita con vero amore per essa. Nel gioco delle parti, ognuno sceglierà chi voler incarnare.

sabato 4 aprile 2015

ECOMUSEO (prima parte)

Proviamo a riassumere con una serie di fotografie accompagnate da brevi testi, il lavoro svolto in collaborazione dalle associazioni di volontariato ONLUS Argonauti Naucrates, a partire dal dicembre del 2012 fino all'inizio di questo 2015.

Le due associazioni collaborano allo stesso progetto di volontariato, mai finanziato da fondi pubblici, consistente nel restauro ambientale di un'area verde abbandonata al centro del paese di Cori (LT),  adiacente al museo della città e del territorio, esprimendo così gratuitamente la tutela del patrimonio ambientale pubblico. Quest'area sita in via minzoni, viene qui denominata ECOMUSEO: ogni cosa che esiste ha diritto ad avere un nome, perché di ciò che esiste dobbiamo poter parlare. 

Così si presentava l'area all'inizio dei nostri lavori:
Vista da Sud-Est verso Nord-Ovest, l'area è visibilmente scoscesa, completamente ricoperta da ogni sorta di infestante. Per capire cosa si celava dietro e sotto la cortina di rovi, vitalba, graminacee e cespugli, abbiamo dovuto operare una lunga e paziente pulizia che ci portasse a livello del terreno. In alto a destra nella foto sopra, sono visibili l'antica torre d'avvistamento e il livello della strada, quest ultimo segnalato dal corrimano del soprastante marciapiede. 

Con sommo dispiacere ma con poca sorpresa, abbiamo tirato fuori e portato nell'isola ecologica chili e chili di immondizia di ogni tipo: in foto un pacchetto ancora imballato di riviste, chili di stracci di vestiti, pezzi di vasi di plastica, secchi e bidoni di ferro arrugginiti.                         

Abbiamo persino disseppellito materiali come questo cartello, usato probabilmente nelle elezioni degli anni '90. Eccessive quantità di materiali edili di risulta ricoprono la parte superiore dell'area, tanto da averne modificato la pendenza. Tale discarica di detriti urbani è probabilmente risalente ai tempi dei lavori di ampliamento della strada soprastante l'ecomuseo. Quest'area situata nel cure del paese, in buona sostanza, per (almeno) più di 10 anni è rimasta abbandonata e adibita a discarica abusiva occasionale. La causa è ovviamente la primitività e l'incuria di alcuni abitanti che abbandonano ancora rifiuti per strada e nei fossi. L'evoluzione tecnologica che ci fa sembrare entrati nel futuro, in realtà, nasconde un vuoto immenso di cultura televisiva, di ignoranza del bene comune e indolenza. Non rimane che dare il buon esempio in pochi, rivolgendosi ai pochi che possono seguirlo.
L'obiettivo delle due associazioni a breve termine è stato la riqualifica dell'area, a medio termine il restauro ambientale, con la piantumazione di nuove specie arboree. Infine a lungo termine si potrà utilizzare l'area a fini didattici, una volta predisposta. In una futura fase di divulgazione, l'Ecomuseo vuole essere inteso come aula naturale per lezioni sulla vita nelle sue infinite forme e per trasmettere ai più giovani e a tutti l'importanza della valorizzazione di un equilibrato ambiente naturale in cui poter vivere.

Nel ripulire l'area dalle infestanti, abbiamo conservato specie particolari, non invasive, segnalandone la presenza come nelle foto seguenti, in modo da permetterne e avvantaggiarne la riproduzione, prima di passare ad inserire le nuove essenze.


Nei cinque mesi da marzo a luglio 2013 è stata portata a termine la prima fase progettuale ed esplorativa ed è iniziata la fase di restauro vera e propria, sono state così messe a dimora diverse essenze (querce, lecci, sughere). Inoltre molte essenze di diverse specie già presenti, sono state preservate dai tagli e si stanno  auto-selezionando in base a posizione e vigore, con potature adeguate.

lunedì 12 maggio 2014

Strumenti di dominio statuitense

Fonte: http://www.eurasia-rivista.org/ttip-e-tpp-strumenti-di-dominio-statunitense/19977/

TTIP E TPP, STRUMENTI DI DOMINIO STATUNITENSE

Stati Uniti d'America :::: Giacomo Gabellini :::: 30 agosto, 2013 :::: Email This Post   Print This Post
TTIP E TPP, STRUMENTI DI DOMINIO STATUNITENSE
Dopo il via libera ottenuto verso la metà del giugno 2013 dagli Stati membri dell’Unione Europea e dal Congresso statunitense, ilpresidente degli USA Barack Obama e le principali autorità europee hanno ufficialmente avviato i colloqui volti a favorire la creazione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) – o Trans Atlantic Free Trade Area (TAFTA) –, un’area di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa che dovrebbe regolamentare il mercato tra le due sponde dell’Atlantico, con particolare riferimento a prodotti agricoli e industriali, appalti pubblici, investimenti, energia e materie prime, misure sanitarie, servizi, diritti di proprietà intellettuale, sviluppo sostenibile, composizione delle controversie, stimolo della concorrenza, facilitazione dell’interscambio e gestione delle imprese di proprietà statale.
TTIP
Ancor prima dell’inizio delle trattative finalizzate a dar concretezza al progetto di “area di libero scambio transatlantica”, pressoché tutti i governi europei hanno immediatamente enfatizzato le ricadute benefiche che la costituzione di un mercato unico completamente liberalizzato prometterebbe di generare, soprattutto per quanto riguarda presunti incrementi del Prodotto Interno Lordo complessivo, la crescita (altrettanto presunta) del reddito pro capite e la creazione (ancor più presunta) di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Queste conclusioni si basano ovviamente sulle tesi “friedmaniane”, secondo cui lavorando dal lato dell’offerta si alimenterebbe la concorrenza, determinando una corsa al ribasso sui costi che dovrebbe magicamente produrre un incremento del Prodotto Interno Lordo. Nonostante l’assoluta mancanza di prove a supporto di questa tesi che viene ossessivamente ripetuta da decenni, l’aspetto più deteriore della creazione del TTIP sarebbe tuttavia rappresentato dall’uniformazione dei regolamenti, che, visti e considerati i rapporti di forza tra Stati Uniti ed Europa, è possibile immaginare alla tutela di quali interessi andranno a conformarsi.
Prendendo in esame il settore agricolo, va infatti sottolineato che negli Stati Uniti è possibile coltivare e commercializzare Organismi Geneticamente Modificati (OGM), così come utilizzare ormoni per stimolare la produzione di latte bovino e per accelerare la crescita degli animali allevati a scopo alimentare. Il “libero scambio” da un lato determinerebbe l’immediata invasione del mercato europeo di questi prodotti (sulla cui sicurezza aleggiano non pochi dubbi), mentre dall’altro comporterebbe la cancellazione delle denominazioni di origine controllata, non riconosciute negli USA, autorizzando di fatto la commercializzazione di vini, formaggi, oli e di tutte le altre specialità tipiche prodotte in qualsiasi Paese membro del TTIP, infliggendo danni incalcolabili alle piccole e medie aziende locali operanti nel settore. In tal modo, l’area di libero scambio faciliterebbe la penetrazione del mercato europeo da parte dei colossi dell’agri-business, i quali (oltre alle enormi quantità di OGM) immetterebbero cibi trattati con agenti chimici e prodotti agricoli massicciamente sovvenzionati dallo Stato rendendo assai meno competitive le merci locali. Per quanto concerne invece il settore terziario, appare piuttosto significativo il fatto che durante i colloqui preliminari tenutisi nel giugno 2013, Commissione Europea e autorità statunitensi abbiano ventilato l’ipotesi di escludere dalle trattative unicamente i servizi per i quali non esiste offerta privata; acqua, sanità, istruzione e gestione delle strutture carcerarie rischierebbero quindi di subire una vasta, inaudita campagna di privatizzazione che provocherebbe l’eliminazione delle prerogative di cui le strutture statali hanno goduto finora, nonché lo smantellamento definitivo dei sistemi di welfare vigenti in varia forma all’interno di tutti i Paesi europei, da cui trarrebbero enormi guadagni le compagnie statunitensi, abituate ad operare in un sistema quasi completamente privatizzato. Negli Stati Uniti vi sono effettivamente imprese private di dimensioni e forza tali da poter colonizzare il mercato europeo in settori che all’interno del “vecchio continente” sono coperti dall’apparato pubblico, il quale verrebbe immediatamente scardinato dalla corsa al ribasso promossa dal TTIP. Le prospettive divengono invece particolarmente desolanti se si considerano le possibili ripercussioni sull’ambiente, dal momento che le regole in vigore all’interno degli Stati Uniti risultano assai molto meno vincolanti (negli USA non esiste alcuna “carbon tax”) rispetto a quelle europee, per via del primato riconosciuto alle aspettative di guadagno da parte delle aziende sulla difesa della salute pubblica e sulla tutela dell’ecosistema. Non è infatti un caso che diversi colossi petroliferi statunitensi abbiano denunciato presso il tribunale arbitrale del North Atlantic Free Trade Agreement (NAFTA) lo Stato canadese del Quebec, reo di aver votato una moratoria sull’estrazione dello shale gas a difesa della salute dei cittadini, adducendo motivazioni legate alla perdita di guadagno potenziale derivante da tale decisione.
NAFTA

La rimozione delle ultime barriere protettive tra Stati Uniti ed Unione Europea da un lato comporterebbe una consistente perdita economica per i Paesi del “vecchio continente, dal momento che le merci europee subiscono una tassazione media del 3,5%% per entrare negli USA, mentre i dazi medi sulle importazioni di merci prodotte negli Stati Uniti raggiungono il 5,2%. D’altro canto, agevolerebbe l’operato delle multinazionali (anche implementando misure di sicurezza volte a difendere il diritto alla proprietà intellettuale) che, dislocando la produzione nei Paesi del “terzo mondo”, possono permettersi di commercializzare le loro merci a prezzi più bassi rispetto a quelli dei prodotti fabbricati all’interno dei confini europei. La deriva deflazionistica che verrebbe automaticamente innescata dall’istituzione del TTIP costituirebbe una catastrofe in primo luogo per Paesi come l’Italia, in cui le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’economia nazionale.
Il TTIP presenterebbe quindi svariate analogie con la “area di libero scambio” sognata dai latifondisti cotonieri del sud degli Stati Uniti verso la metà del XIX Secolo. Questi grandi proprietari terrieri – i quali mantenevano un rapporto di stretta interdipendenza con la potenza centrale allora dominante, ovvero la Gran Bretagna, il cui sistema manifatturiero manteneva estremamente elevata la domanda internazionale di cotone – promuovevano linee politiche fondate sui presupposti propri alle teorie liberiste degli “economisti dell’impero” David Ricardo ed Adam Smith; l’area di libero scambio da essi pretesa avrebbe consolidato il rapporto di subalternità geopolitica che intercorreva tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, relegando i primi al ruolo di fornitori di materie prime per conto dei sistemi industriali dei secondi. Non a caso il TTIP è stato paragonato a una sorta di “NATO economica”, poiché se l’Alleanza Atlantica è chiamata a circoscrivere drasticamente il raggio d’azione delle potenze europee, sottoponendolo alla volontà statunitense, l’area di libero scambio transcontinentale mirerebbe a “disciplinare” i rapporti economici con i Paesi che minacciano di intaccare la supremazia statunitense. Non rappresenterebbe infatti una novità che l’intensificarsi delle relazioni commerciali funga da volano per il consolidamento di strette relazioni politiche, sorrette da particolari intese riguardanti i comparti strategici di maggiore rilievo (come l’alta tecnologia). Il TTIP patrocinato da Washington appare pertanto uno strumento “imperialistico” finalizzato a legare indissolubilmente le due sponde dell’Atlantico in un rapporto geoeconomico ideato su misura delle necessità statunitensi. Rafforzando il potere dei mercati finanziari e delle imprese multinazionali sui poteri politici locali attraverso l’incoraggiamento di una concorrenza tra sistemi legislativi atta ad agevolare la pratica del dumping nettamente sfavorevole alle finanze pubbliche, alla conservazione delle condizioni di lavoro, alla tutela dei salari, della sanità pubblica e del benessere generale delle popolazioni , il mercato transatlantico è il risultato di decisioni politiche dettate dalle pressioni esercitate dalle lobby industriali e, soprattutto, finanziarie. Il TTIP si propone di estendere le logiche del “mercato aperto” a livello planetario, in modo da piegare le resistenze opposte dalle popolazioni autoctone di Paesi come l’Ecuador (in cui la Bechtel ha dettato legge per molti anni) assicurando alle grandi compagnie il diritto di depredare le risorse naturali e stringere ulteriormente le nazioni nella morsa del debito. Imponendo gli interessi delle multinazionali a livello mondiale, «Il mercato transatlantico – osserva l’acuto analista belga Michel Collon – contribuirà ad aggravare la povertà e le disuguaglianze tra Nord e Sud, deteriorando sempre più gli ecosistemi, la biodiversità, il clima. Una volta consolidatosi, esso moltiplicherà i rifugiati climatici, rincarerà il prezzo delle derrate di base e ipotecherà l’avvenire e il benessere delle generazioni future» (1).
Effettivamente, l’applicazione di un sistema simile non potrà che favorire, pur in funzione meramente tattica, i grandi esportatori come la Germania, i quali capitalizzeranno un aumento degli sbocchi di mercato per le loro merci, mentre gli Stati più deboli verranno definitivamente privati del controllo sulle loro funzioni vitali – già massicciamente ridotto dall’ingresso nell’Unione Europea.
Non è certo un segreto che la creazione del TTIP risponda ad un preciso disegno geopolitico, elaborato da Washington allo scopo di frenare il proprio costante arretramento attraverso il modello “trilateralista”, che prevede la riorganizzazione del pianeta in “aree di libero scambio” ruotanti attorno al fulcro statunitense. L’evidente crisi della globalizzazione liberista ha infatti spinto gli USA a cercare di potenziare i propri strumenti di influenza e dominio, rappresentati dalle leve militare ed economica. In conformità a questa strategia, gli Stati Uniti hanno accerchiato la Cina sia dal punto di vista militare dislocando navi che fungono da basi galleggianti per le forze speciali dal Golfo Persico al Mar Cinese Meridionale e impiantando proprie installazioni presso Singapore, Thailandia, Filippine ed Australia, sia sotto l’aspetto economico attraverso la creazione del Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement (TPP), una “area di libero scambio” che coinvolge numerosi Paesi indio-latini e asiatici escludendo i BRICS, con particolare attenzione al “Paese di mezzo”, la cui crescita economica e politica costituisce un fattore suscettibile di intaccare la supremazia statunitense.
Il Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement (TPP) è effettivamente un accordo di libero scambio che coinvolge numerosissimi Paesi affacciati su entrambe le sponde del Pacifico, tagliando fuori la Cina. Oltre agli Stati Uniti, l’elenco dei Paesi che partecipano alle trattative del TPP include infatti Australia, Brunei, Cile, Canada, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
TPP
Il Giappone, dal canto suo, ha espresso l’intenzione di aderire al progetto. Sviluppato mentre il Pentagono si prodiga per insediare la propria forza militare nella la regione Asia-Pacifico al fine di porre sotto il controllo di Washington le vie attraverso cui la Cina si rifornisce di energia, il TPP rappresenta chiaramente il braccio economico della politica del “pivot asiatico” condotta da Washington, mirante a riunire alcuni dei più promettenti nazioni situate nell’area del Pacifico in un regime di corporate-governance giuridicamente vincolante, convincendo i loro governi ad aderire al progetto attraverso garanzie di protezione dall’“espansionismo cinese” e la promessa di libero accesso al mercato degli Stati Uniti. L’amministrazione Obama intende chiaramente inaugurare un accordo volto ad imporre “una misura unica” volta a sostituire tutte le norme internazionali che limitano la volontà statunitense di regolare gli investimenti stranieri e il saccheggio delle risorse naturali da parte delle multinazionali. Le grandi imprese e i colossi di Wall Street stanno esercitando forti pressioni affinché Governo e Congressoignorino l’incostituzionalità del progetto, inseriscano misure che garantiscano la messa al bando di qualsiasi norma atta a regolare i movimenti di capitale e permettano alle corporation di citare in giudizio i governi nazionali, sottomettendo i Paesi firmatari alla giurisdizione di tribunali arbitrari di investitori. I tribunali internazionali disporrebbero quindi della facoltà di ordinare ai governi di pagare risarcimenti virtualmente illimitati alle grandi aziende, qualora la politica condotta da una qualsiasi delle nazioni membre del TPP andasse a limitare i futuri guadagni degli investitori.
«Recenti statistiche – osserva l’analista politico Nile Bowie – rivelano che la produzione economica combinata di Brasile, Cina e India supererà quella di Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti entro il 2020. Più dell’80% della classe media del mondo vivrà a Sud entro il 2030, in un contesto completamente diverso da quello attuale. Gli Stati Uniti sono economicamente in difficoltà, e il TPP – sogno erotico di Wall Street e la risposta di Washington alla sua diminuzione performance economica – è stato progettato proprio per permettere agli USA di fare grande business con una maggiore partecipazione nella regione emergente del Pacifico attraverso l’imposizione di un modello economico di sfruttamento sui Paesi firmatari che esenti le multinazionali e investitori privati ​​esenti da qualsiasi forma di responsabilità pubblica»(2).

E’ evidente che la strategia di Washington fondata sulle intimidazioni di natura militare e i tentativi di marginalizzazione economica dei Paesi non allineati attraverso la creazione di “aree di libero scambio” è destinata ad acuire le tensioni internazionali e suscitare nuovi pericoli di guerra. Si tratta di uno scenario che presenta diversi punti di contatto con quello di inizio ‘900, in cui il militarismo di matrice imperialista e l’espansione del liberismo economico che caratterizzò la prima, embrionale tendenza “globalizzante” si combinarono tra loro, innescando una micidiale sinergia negativa che condusse alla Prima Guerra Mondiale.

NOTE
1. Michel Collon, Ce que l’accord de libre-échange entre l’UE et les USA pourrait changer, http://www.michelcollon.info/Ce-que-l-accord-de-libre-echange.html?lang=fr.
2. Nile Bowie, The Trans-Pacific Partnership (TPP), An Oppressive US-Led Free Trade Agreement, A Corporate Power-Tool of the 1%, http://www.globalresearch.ca/the-trans-pacific-partnership-tpp-an-oppressive-us-led-free-trade-agreement-a-corporate-power-tool-of-the-1/5329497.
*Giacomo Gabellini è cartografo di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e autore dei libri “La parabola. Geopolitica dell’unipolarismo statunitense” e “Shock. L’evoluzione del capitalismo globalizzato tra crisi, guerre e declino statunitense”, pubblicati da Anteo Edizioni. Ha tenuto lezioni inerenti le cosiddette “primavere arabe” presso l’Università di Teramo.