Fonte: http://www.ilcambiamento.it/inquinamenti/sentenza_ue_apre_mais_ogm_italia.htm
Una sentenza della Corte di giustizia europea riconosce alla Pioneer il diritto di distribuire mais OGM in Italia. Secondo il tribunale con sede a Lussemburgo, l'ingresso nel Paese di varietà già ammesse a livello comunitario non può essere bloccato da leggi statali o regionali.
di Angela Lamboglia - 12 Settembre 2012
Pioneer incassa il supporto della Corte di Giustizia europea nella battaglia
contro il ministero italiano delle Politice agricole. Secondo il
Tribunale Ue, la società ha diritto a distribuire i suoi prodotti in
tutti paesi dell'Unione, Italia compresa.
Nel 1998 Pioneer
aveva infatti ricevuto l'autorizzazione a commercializzare linee pure
ed ibride del mais Mon 810 nel mercato unico - e successivamente aveva
ottenuto l'iscrizione di 17 varietà derivate nel catalogo comune della
Commissione europea. Guadagnato il via libera dall'Ue, la società si era
rivolta agli Stati membri richiedendo la messa a coltura dei nuovi
prodotti.
Ma in Italia il ministero delle Politiche agricole ne
aveva bloccato la richiesta, in mancanza della normativa che, in base al
decreto legge n. 279/2004, dovrebbe regolare la coesistenza tra semi OGM e semi tradizionali sul territorio nazionale.
La Pioneer
però non si è data per vinta e si è rivolta al Tribunale europeo che,
alla fine, le ha dato ragione: dalla data di pubblicazione nel catalogo
comune, gli stati Ue non possono introdurre restrizioni alla circolazione delle nuove varietà di alimenti e mangimi.
La sentenza
in realtà non stupisce. Un diverso giudizio sarebbe stato incompatibile
con le normative comunitarie che disciplinano la messa in commercio
degli OGM in Europa. Ed è lì, nella procedura Ue, che si annida il
problema.
Il diritto dell'Unione non prevede alcuna libertà per i 27 in materia di OGM. Se infatti l'autorizzazione
accordata a livello Ue può essere contestata dal singolo Paese, sulla
base di motivazioni scientiche, rivolgendosi all'Efsa, l'Agenzia europea
per la sicurezza alimentare, finora queste sono state,
tendenzialmente, respinte. A quel punto lo Stato può ancora portare il
caso all'attenzione degli altri Paesi, in sede di Consiglio, ma anche lì
l'esito si è rivelato il più delle volte fallimentare.
Il diritto dell'Unione europea non prevede alcuna libertà per i 27 in materia di OGM
Per lasciare più spazio agli Stati, la Commissione europea
ha proposto di autorizzarli a presentare anche ragioni di ordine
economico o sociale, e non più solo scientifiche, per contrastare il
commercio e la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul
proprio territorio. Non è detto, però, che l'Efsa si riveli più
sensibile a questi argomenti.
Un vero cambiamento verrebbe, invece, dal riconoscimento del diritto degli Stati e dei territori all'autodeterminazione
in materia. Quell'autodeterminazione che la Rete delle regioni europee
libere da OGM, riunite la scorsa settimana a Erfurt, in Germania,
rivendica da tempo e che la presidenza danese dell'Unione, nel mese di
marzo, ha provato, invano, a recuperare.
La proposta della Danimarca,
che in sintesi puntava a lasciare agli Stati la possibilità di limitare
o vietare l'ingresso di organismi geneticamente modificati, è stata
respinta, in sede di Consiglio, da un blocco di Paesi - tra cui Francia,
Germania, Regno Unito e Belgio – e finora la nuova presidenza,
cipriota, non ha ripreso l'iniziativa.
A Erfurt le regioni 'OGM free' hanno lanciato un appello:
l'invito a una coalizione il più possibile ampia, che coinvolga
consumatori, agricoltori, organizzazioni ambientaliste, per la libertà
di scelta e la trasparenza in tema di organismi geneticamente
modificati, a cominciare dal rivendicare norme comuni per
l'etichettatura dei prodotti derivati, come carni e latte. Una battaglia
non più rinviabile.